Il negoziante di un tempo era un mediatore culturale, il pedagogo sulle qualità di un cibo, di un vestito... Oggi non sappiamo più dare valore all’oggetto che consumiamo: i pubblicitari studiano a tavolino quello che chiamano “brand”, che non è solo il marchio, è la “personalità artificiale” della marca; ciò che compriamo è il “brand”, un bene immateriale; l’oggetto in sé interessa poco.
Il vecchio marketing usava molto l’ostentazione di segni di status per fare colpo… oggi funziona meno. Con l’arrivo dei social-media guardiamo i “mi piace” e ci trasformiamo in goffi pubblicitari di noi stessi. Il “brand” diventiamo noi, il consumatore si trasforma in merce. Al supermercato immaginiamo noi stessi vestire quell’abito, mangiare quel cibo...: compriamo un “io potenziale”; il godimento avviene nel momento di prenderlo dallo scaffale e metterlo nel carrello perché in fin dei conti siamo ancora raccoglitori-cacciatori. Alla cassa il piacere è già ridotto, a casa lo togli dal sacchetto e ormai è solo un ingombro a cui trovare un posto.
La pubblicità influenza le nostre decisioni, plasma le nostre esigenze: quali meccanismi sono all'opera qui? Ne siamo coscienti?
Tutti noi crediamo che la pubblicità non ci influenzi, eppure quasi tutte le scelte d’acquisto sono indotte. Quindi la pubblicità funziona senza che ce ne rendiamo conto. Per esempio: il web e i social raccolgono informazioni meticolose su di me in modo da promuovere esattamente quello che m’intriga.
Se vado in un negozio di quartiere compro per esempio il pane, dei fagioli e due mele. Se vado in un supermercato prendo 10 volte tanto perché condizionato dai marchi della TV. Online prendo 20 volte di più, perché sono sedotto da messaggi minuziosamente personalizzati. A conti fatti, nel negozio sotto casa spendo molto meno perché compro ciò che mi basta. La singola mela costa il doppio, ma è meglio: son soldi per il lavoro del commerciante e del contadino, invece i prodotti dei grandi marchi hanno una “tassa nascosta” tra il 20 e il 50% dedicata al marketing.
Nessuna cosa è davvero tua se non la sai riparare.
Le persone in qualità di cittadini e/o consumatori come vivono questo contesto?
Il cittadino (critico) e il consumatore (sprecone) sono personaggi che abbiamo dentro e che utilizziamo a seconda della situazione. Spesso siamo già critici: oggi una buona quota degli acquisti segue criteri ecologici, salutistici o etici. Questa percentuale può aumentare, ma dobbiamo stare attenti: alcune multinazionali indossano vestiti verdi o etici solo con lo scopo di vendere!
Il grado di consumismo dipende da vari fattori: se sei colto, compri meno; se hai pochi amici, compri di più... La comunità può influire molto: se vivi in un gruppo dove si pensa che “nessuna cosa è davvero tua se non la sai riparare”, allora ti piacerà aggiustarla invece che buttarla via e comprarne una nuova. Se vanno tutti in bicicletta, anche tu la preferirai all’auto, eccetera.
Quali sono i modelli di consumo alternativi ai quali un docente potrebbe ispirarsi o utilizzare a scuola per affrontare il tema?
Barattiamo giocattoli, giornalini… favoriamo i gruppi d’acquisto solidali, la condivisione di mezzi di trasporto e di utensili, chiamiamo i genitori a fare l’ospedale dei giocattoli... La comunità è più forte del singolo individuo. Anche la scuola in questo senso è una comunità e ha due funzioni importanti: fornire ai bambini un approccio critico al marketing e rinforzare valori autentici che non siano commerciali.
I bambini e i giovani prendono già le decisioni d'acquisto. Quali competenze dovrebbero avere per poter operare in questo grande "mercato"?
A scuola le strade sono tante, io ne ho collaudate tre. Le strategie per piacersi decostruendo gli stereotipi di bellezza; la competenza è: io sono bello perché sono vivo. Le strategie per sentirsi forti: la mia bici è meglio di una Ferrari, perché gli oggetti sono solo una protesi del mio corpo. La competenza è sentire i propri muscoli in azione e provarne piacere. Infine le strategie per sviluppare l’immaginazione: a scuola serve ogni tanto rallentare, chiudere gli occhi, ascoltare, sviluppare i sensi secondari. Purtroppo a scuola attività semplici come chiudere gli occhi e visualizzare stanno passando di moda, eppure sono più necessarie oggi che ieri.
Piacersi, sentire il proprio corpo, fantasticare… sì, sono competenze! nella storia umana sono sempre state innate, oggi invece dobbiamo insegnarle a scuola: è colpa del marketing.
La scuola compete col marketing!
Tali competenze possono essere rafforzate a scuola? Se sì, come? Conosce qualche buon esempio pratico? Quali sono le esperienze che l’hanno colpita positivamente?
La scuola compete col marketing. Non uso la parola compete a caso: genera autostima, identità, senso critico, gusto estetico, empatia, sinestesie, creatività, ... Argina il falso sé, l’apparire, il narcisismo frustrato, la competizione, l’isolamento, quindi confligge col consumismo, ne riduce l’anestesia e la stereotipia.
Il primo esempio che mi viene in mente è la famosa “merenda pane e olio” di Maria de Biase in una scuola nel Cilento. Lì il pane e l’olio sono davvero buoni, sani ed ecologici, perché farsi diseducare dalle merendine industriali? bambini portano le loro borracce per l’acqua e le stoviglie da casa. A mensa sono aboliti i surgelati e la plastica usa e getta. La scuola effettua la raccolta degli olii esausti con cui produce saponette, sono state costruite compostiere e sono stati creati orti. Anche in molte scuole delle “Transition Towns” si fanno attività del genere, su Internet ci sono centinaia di esempi.
L’ESS è semplicemente educazione:
se non si va verso la sostenibilità non è educazione!
L’ESS con riferimenti ai suoi principi e competenze, può essere utile per affrontare le domande legate al tema del mercato a scuola?
Per me l’ESS è semplicemente educazione: se non si va verso la sostenibilità non è educazione. Queste competenze sono gli antidoti, gli antivirus a un modello economico basato sullo spreco che fa invecchiare precocemente il Pianeta.
Consulto spesso il portale di éducation21 e quando vedo gli schemi con le competenze per l’ESS penso: che meraviglioso danno per i persuasori occulti, e quindi che vantaggio per il PIL delle famiglie! Restituire ai soldi dei genitori la percezione della fatica con cui li hanno guadagnati. Migliora la qualità di vita e l’economia delle persone.
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